Cold War

Cold War di Pawel Pawlikowski.

Struggentemente disturbante, come i canti folkloristici polacchi delle prime riprese: troppo tristi, troppo lenti, troppo tradizionali. Struggentemente disturbante, come l’amore che non sei libero di vivere, quello che ti prende fino alla radice di ciò che sei e ti intossica perché non puoi più pensare di esistere, senza.

La guerra fredda fa da pretesto alla trama ma non la determina. Non è una storia d’amore, ma la storia di un amore definitivo, quello tra Wiktor e Zula, due esseri irrequieti e magnetici, iconici in ogni inquadratura. Una pellicola in bianco e nero dai contrasti ombra- luce molto accentuati, quindi densi, privi di rotondità, acuminati, con salti cronologici come necessari  enjambements che rendono fluido il racconto per immagini. E poi il lirismo, la sensualità dei protagonisti, il jazz, gli anni sessanta, Parigi, il bateau-mouche di notte lungo la Senna, il bianco abbacinante della passione pura, il nero opprimente del desiderio che non sa bastare a se stesso.
Infondo niente ti salva, nemmeno il talento, se sei roso dal “tarlo” dell’amore fatale.
Da vedere e rivedere!